I dati Ocse sul divario clamoroso nella tutela per i disoccupati tra l’Italia – tutela zero – e gli altri paesi industrializzati è l’ennesima riprova di quanto il nostro welfare sia regressivo: concede a chi ha già e nega a chi ha davvero bisogno.
Se alla assenza, di fatto, di ogni sostegno per i disoccupati aggiungiamo che ben il 68,4% di essi sono disoccupati di lungo periodo, la questione appare per quel che è: disastrosa.
La spesa sociale più generosa al mondo con i giovani pensionati e con i cassintegrati, destina pochi spiccioli a sostegno del reddito di chi ha perso o non trova lavoro.
Analogamente per il mercato del lavoro: tutele altrove sconosciute per i dipendenti pubblici o di medie e grandi aziende e condanna al lavoro precario, lavoro nero o disoccupazione per tutti gli altri.
Gli italiani sono stati vittime in questi decenni di una grande menzogna e cioè quella che il modello di spesa sociale imposto dal sindacato consentisse la tutela dei più deboli. La realtà è esattamente opposta: i sindacati hanno pensato e pensano – come ovvio – a salvaguardare gli interessi dei propri iscritti (lavoratori, pensionandi e pensionati) anche contro quelli dei disoccupati, dei giovani e dei pensionati sociali.
I referendum radicali puntano a scardinare l’assetto burocratico e regressivo della spesa sociale italiana e del mercato del lavoro e a creare condizioni di pari opportunità per tutti i cittadini. Cofferati ben conosce questa realtà: se si affanna a predicare che i referendum radicali “sono contro i più deboli” è solo perché spera che una bugia ripetuta all’infinito finisca per passare come verità.
Si sbaglia, gli italiani capiscono e capiranno dove sta la conservazione e dove il progresso.
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