Dopo il vertice tra Emmanuel Macron e Angela Merkel di venerdì scorso a Parigi, ieri l’Assemblea Nazionale e il Bundestag hanno approvato una risoluzione comune che rinverdirà la consolidata intesa del motore dell’integrazione europea. Sia a Parigi che a Berlino, d’altronde, le leadership di governo hanno sfidato elettoralmente e politicamente l’ondata anti-europeista con scelte tanto simboliche quanto concrete: agli eventi di campagna elettorale di Macron sventolavano migliaia di bandiere blu con le stelle e, nell’ormai famoso discorso della Sorbona, l’inquilino dell’Eliseo ha spiegato ai francesi che l’unica sovranité oggi esercitabile è quella condivisa sul piano continentale; in Germania, l’appello programmatico di Martin Schulz per gli Stati Uniti d’Europa entro il 2025 ha riaperto le porte di una coalizione della SPD con la CDU e la CSU.
E l’Italia, dunque? Se è vero che il protagonismo e l’autorevolezza si guadagnano sul campo, il Parlamento e il governo che emergeranno dal voto del 4 marzo avranno la responsabilità di scegliere quale ruolo intende giocare il nostro paese per il futuro dell’Europa e quindi dell’Italia. Anzitutto, le tornate elettorali del 2017 in Francia, Olanda, Austria e Germania hanno mostrato che l’unico modo per battere i sovranisti è sfidarli apertamente, non rifugiarsi in un anti-europeismo moderato e corrivo, errore fatto da Cameron. A sbattere i pugni sul tavolo, di solito, si finisce per farsi male e non si ottiene nulla.
I rischi fatali da evitare sono due. Il primo è consegnare le redini di governo a forze ormai esplicitamente etno-nazionaliste, il centrodestra per cui “Merkel fa più paura di Le Pen” e “gli immigrati mettono in pericolo la razza bianca” (citazioni di Paolo Romani e Attilio Fontana) o il M5S che a giorni alterni propone l’uscita dall’euro, la monetizzazione del debito e non meglio specificati redditi e pensioni di cittadinanza, spese di cui nessuno conosce una copertura certa. Si tratterebbe di una scelta pericolosa per l’intero Continente e certamente letale per le prospettive di crescita e benessere dell’Italia. Il secondo rischio è restare intrappolati dalla contingenza della politica nazionale, totalmente impreparati rispetto alle scelte che i soci franco-tedeschi pongono sul tavolo. Per evitare questi due grandi rischi, occorre compiere una scelta coraggiosa e ambiziosa: offrire ai cittadini una opzione elettorale, politica e di governo apertamente pro-UE, che dia soluzioni concrete al dialogo con i partner continentali e mostri ai cittadini le ragioni per cui avere “più Europa” serve anzitutto all’Italia.
La lista che abbiamo messo in campo non è una testimonianza di e per “super-europeisti”, ma vuole fornire l’elemento portante di una strategia ampia e condivisa. Di fronte a chi conduce una campagna elettorale all’insegna dell’abolizione delle tasse universitarie, della cancellazione della legge Fornero o dell’introduzione del reddito di cittadinanza (con quali risorse, non è mai dato saperlo), noi proponiamo a elettori e possibili alleati di governo un cambio di paradigma.
Mettiamo al centro di questa campagna elettorale il futuro dell’Europa unita e il ruolo che l’Italia intende giocare nella partita più importante per i prossimi anni e soprattutto per i decenni futuri. Riprendiamo a parlare di sicurezza e di difesa comune, di un nuovo welfare per milioni di giovani e meno giovani in tutto il Continente, di investimenti europei nella scienza e nelle tecnologie più avanzate, della ripresa degli accordi commerciali con il resto del mondo (un interesse vitale per le nostre imprese esportatrici), di cosa e quanto possa fare l’Europa per sostenere e rafforzare il processo di democratizzazione dei paesi vicini (a partire dalla Tunisia). Ancora, scegliamo come contribuire da italiani alla tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini europei in quei paesi dell’UE dove pare messa a repentaglio la tenuta dello stato di diritto.
Fino a oggi la discussione elettorale è stata sulla “abolizione di questo e quello” e sulle promesse gratuite; a questo tormentone cerchiamo di sottrarci ricordando il debito pubblico da onorare e la necessità di bloccare la spesa pubblica che non sia per investimenti certificati. Spostiamo il piano della discussione: vogliamo che gli elettori possano decidere se preferiscono un paese chiuso in se stesso o un’Italia più europea in un’Europa più unita.
Perché non saranno coloro che fino a qualche mese fa strizzava l’occhiolino a Le Pen o Farage o Orban – e magari oggi sfoderano slogan pro-UE – a riportare l’Italia, con la necessaria autorevolezza, ai tavoli dove si decide il futuro della Unione. E dove occorre, questo sì, che l’equilibrio complessivo trovi un baricentro molto, molto più a sud della retta che unisce Parigi e Berlino.
Emma Bonino
Benedetto Della Vedova
Riccardo Magi
+Europa
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