Certo, la concorrenza, anche quella ben regolata del CETA, implicherà probabilmente per qualche operatore la messa in discussione di posizioni di rendita. Ma la svolta autarchica e protezionista chiesta dalla Coldiretti e dalla CGIL e sponsorizzata da Lega, 5 Stelle e Mdp sarebbe, per il paese del Made in Italy, un suicidio economico.
Il CETA è l’accordo commerciale negoziato nel modo più trasparente, più avanzato e garantista in termini di standard ambientali e sociali; non a caso è stato sottoscritto da UE e Canada, protagonisti democratici dei diritti sulla scena mondiale e fautori di un approccio multilaterale basato su equità e reciprocità.
La guerra che la CGIL e altri fanno a questo trattato ha una base ideologica e demagogica, pericolosa per un paese come l’Italia che deve al commercio internazionale buona parte della propria tenuta, l’avvio del rilancio economico e le migliori prospettive di crescita e buona occupazione.
Il CETA, tra le altre cose, fornisce una cornice giuridica di maggior tutela per le piccole e medie imprese e introduce il riconoscimento di 41 indicazioni geografiche tipiche per i prodotti italiani: un risultato decisivo per le nostre produzioni di qualità che farà da standard per il futuro. Esattamente quanto chiesto per decenni dal nostro paese.
Autarchia e protezionismo che segnano le proteste sono invece veleno per l’economia italiana.
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