Tutto deve cambiare perché poco o nulla cambi.
Ho ascoltato il discorso di Theresa May con attenzione. Ho apprezzato il suo ottimismo, la sua invocazione continua alla creatività e alla flessibilità. Ho colto il suo ripetuto, retorico richiamo alla storia condivisa, alle comuni sfide e al futuro. Ho meno capito, in questo contesto e nel ventunesimo secolo, quali siano le specificità britanniche che richiedano questo sforzo titanico di cambiare tutto perché cambi il meno possibile.
Mi è chiara la sacrosanta volontà di May di dare seguito al voto espresso da una netta anche se non così schiacciante maggioranza di elettori che hanno votato per il ‘leave’. Non ho colto invece nelle parole della primo Ministro quali possano essere i vantaggi del Regno Unito e della UE in questa separazione così costosa e faticosa.
I leader di una grande e ammirata democrazia come quella del Regno Unito sono i primi a sapere che più una democrazia è salda, più conosce strumenti democratici per rivedere una decisione democratica. Del resto, l’unica cosa di sostanza nella Brexit, il ritorno tra i grandi paesi europei del prevalere del principio della sovranità nazionale, è anche l’unico elemento fino ad oggi certo: ed è una cosa negativa che non può portare nulla di buono.
Proprio perché condividiamo storia, sfide e futuro, e per onorare con serietà l’impegno della May io credo che da parte dell’Unione europea l’atteggiamento debba continuare ad essere quello del negoziato rigoroso.
Tuttavia, non deve esserci alcun desiderio di rivalsa e va mantenuta la porta apertissima anche ad una revisione della decisione presa che “brexit is brexit”.
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