C’è una cosa che di sicuro andrebbe modificata dell’Italicum, a mio avviso, ed è la reintroduzione del voto di preferenza. Malgrado la retorica del ‘ridiamo ai cittadini la scelta degli eletti’, in realtà le preferenze sono un fattore di inquinamento della vita politica interna ed esterna ai partiti e un dimostrato incentivo a fenomeni di corruzione politica, a partire dal voto di scambio.
Peraltro, la propensione a esprimere un voto di preferenza sta drasticamente diminuendo in Italia, l’unica grande democrazia dove questa pratica elettorale è stata già utilizzata anche per la composizione del parlamento nazionale.
Se si prendono ad esempio in considerazione le elezioni europee del 2014, il tasso di preferenza complessivo (totale preferenze espresse sul totale dei voti validi) è stato solo del 15%. Se si guarda alle regionali del 2013 e 2015 si è registrato una diminuzione delle preferenze espresse in tutte le regioni e per tutti i partiti. In Lombardia il voto di preferenza è stato usato da poco più di un elettore su dieci, in Lazio da poco più di uno su tre, come in Campania.
Inoltre il partito i cui elettori utilizzano meno le preferenze risulta essere proprio il Movimento 5 Stelle.
Con le preferenze si consente a chi è in grado di controllare anche piccoli pacchetti di voti di pilotare l’elezione e si premiano in genere le clientele e la spregiudicata compravendita del consenso.
Nel voto di collegio si premia il valore del candidato e la sua capacità di attrarre consensi ed essere riconosciuto non da uno specifico gruppo di pressione (anche lecito) ma da uno schieramento maggioritario di elettori.
Quale che sia l’impianto della legge che dovesse nascere dalle modifiche dell’Italicum sarebbe bene si ripartisse dai collegi, lasciando al passato il mercato delle preferenze.
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