Considero e continuerò a considerare The Economist un solido punto di riferimento, ma dissento fortemente dall‘invito rivolto ai lettori italiani a votare No.
Riformare la Costituzione non è stato un capriccio, ma l’impegno assunto dalle forze politiche che ha consentito di sbloccare la legislatura, dare la fiducia a un governo ed eleggere il Capo dello Stato.
Oltre, e prima di tutto questo, la riforma è stata finalmente la risposta alle richieste di modifiche costituzionali degli ultimi trent’anni su due punti dirimenti: il bicameralismo paritario e il rapporto tra Stato e Regioni.
Dire che il Governo in questi due anni ha pensato solo alla riforma costituzionale è semplicemente superficiale e sbagliato: ricordo, tra le tante cose fatte, l’approvazione del Jobs Act, con il superamento dell’articolo 18 e la modernizzazione del sistema delle tutele, e la legge che finalmente riconosce le unioni civili omosessuali, riparando in entrambi i casi agli intollerabili ritardi del nostro Paese rispetto al resto del mondo occidentale.
Si poteva fare tutto diversamente e meglio? Può anche essere, ma è certo che l’unica alternativa era non fare nulla e perdere altro tempo a lamentarsi. Con la riforma Costituzionale non cresce il PIL, ma si aiutano le altre riforme necessarie.
Il combinato disposto con la legge elettorale, poi, semplicemente non esiste: con la vittoria del SÌ è scritto nella riforma che anche l’Italicum sarà sottoposto al vaglio di costituzionalità dopo la richiesta del 25% dei deputati.
Il punto è che anche The Economist la butta in politica: non si occupa tanto del merito della riforma e critica Renzi avallando l’idea di un voto sul governo.
Ma se il No usato così, strumentalmente e non nel merito, dovesse togliere Palazzo Chigi a Renzi, non arriverebbero né un Ciampi né un Monti, il cui governo che ho convintamente sostenuto ha salvato e rimesso in marcia l’Italia in un momento drammatico.
Arriverebbero invece coloro in grado di capitalizzare il risultato, cioè Grillo o Salvini che vogliono uscire dall’Euro. E questo, non la caduta di Renzi, metterebbe a rischio la moneta unica: perché uscire significa uscire.
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